LA STORIA DELL'OLIO D'OLIVA SICILIANO
L'olio extravergine d'oliva è uno dei componenti essenziali della dieta mediterranea grazie al fatto che esso si ricava dal frutto e non dal seme, particolarità che gli consente di racchiudere varie ed importanti qualità organolettiche e nutrizionali.
I miti raccontano che gli ulivi crescono con il tronco doppio in quanto ciò costituisce un premio divino alla devozione di due umili sposi che lodarono l'albero quando un dio scese dall'Olimpo e li interrogò sulle loro condizioni di vita. Essi dissero: "Con l'ulivo abbiamo quanto ci serve: l'ombra per l'estate, la legna per l'inverno, i frutti per nutrirci, l'olio per condire i cibi e per fare luce". Sempre in tema mitologico si racconta che Cecrope fu il fondatore di Atene e il primo re dell'Attica. Fu sotto il suo regno che si svolse la mitica contesa tra Athena e Poseidone per il predominio sulla città. I due stabilirono che essa sarebbe toccata a chi di loro avesse fatto il dono più utile agli Ateniesi. Poseidone (dio del mare) battè il suolo con il tridente e ne balzò fuori una polla d'acqua marina, in tal modo offrì agli Ateniesi il dominio sul mare.
Athena invece colpì con la lancia la roccia e ne nacque un albero d'ulivo. Poiché fu riconosciuto pubblicamente che questo era di maggiore utilità il predominio fu affidato alla dea. Da allora sull'Acropoli venne coltivato un uliveto, nato da quel primo ulivo, che era ritenuto da tutti sacro. Solamente da quelle piante sacre si ricavavano l'olio e le fronde che venivano offerte ai vincitori dei giochi panatenaici, fatti in onore di Athena. Su precisa disposizione del re Solone nel VI sec. a.C. l'olio d'oliva fu l'unico genere alimentare esportato dai Greci. E' da ricordare infine che il talamo nuziale di Ulisse era stato ricavato da un tronco di ulivo. L'ulivo in Sicilia divenne, assieme al fico, l'immagine stessa dell'Isola. Ad esso i Greci di Sicilia tributavano grande importanza tanto che sradicare anche un solo albero comportava la pena dell'esilio! I giochi panatenaici, introdotti dagli stessi e consistenti in gare ippiche (corse di carri, corse di cavalli, acrobati che saltavano dai cavalli in corsa) e in prove ginniche (corsa, lotta, pugilato, salto, lancio del disco), si concludevano sempre con un premio ai vincitori costituito da una corona di fronde d'ulivo e da un'anfora colma di olio sacro. È il caso di ricordare la credenza che sulla tomba di Adamo, sepolto sul Monte Tabor, germogliava un ulivo il cui seme proveniva direttamente dal paradiso terrestre.
Terminato il diluvio universale, una colomba portò a Noè un ramoscello d'ulivo per indicargli che la terra era emersa dalle acque diventando così simbolo di pace, simbolo che perdura ai nostri giorni. Il crisma, l'olio che fa brillare il volto, appartiene alla cultura ebraica: con esso si ungevano i sacerdoti, i profeti e i re (ricordiamo il re Davide). Il popolo di Gerusalemme accolse Gesù Cristo agitando ramoscelli di ulivo. Prima di morire questi pregò nell'Orto degli Ulivi e ancora oggi in quella città c'è il Monte degli Ulivi. L'olio viene usato in parecchi riti religiosi, specie cristiani (battesimo, cresima, estrema unzione). Non vi è rito sacro di antica tradizione pervenuto sino al nostro tempo, che non preveda l'uso dell'olio o la presenza di fronde d'ulivo.
Il Borzì ritenne l'olivastro pianta assai comune nel paesaggio botanico preellenico. Nella Sicilia ellenica quest'albero è grandemente rappresentato. Si narra infatti che gli Agrigentini furono sconfitti in battaglia dall'esercito cartaginese e costretti a pagare un fortissimo tributo. Al comandante cartaginese, rimasto grandemente sorpreso dalla quantità di ori e di gioielli presenti nella città, mostrarono un assai piccolo ed umile seme di ulivo come origine di tante ricchezze. Il consumo di olio e di vino, quali doni di Minerva e di Bacco, distingueva i Romani dai Barbari, forti consumatori di burro e di birra. Fin dall'antichità erano note le proprietà terapeutiche dell'olivo: si ricordano i principi attivi ad azione antielmintica, emolliente e lassativa contenuti nelle foglie, nella corteccia e nella resina (utilizzata per i colliri); l'olio poi era utilizzato, da solo o associato ad altre sostanze, per preparare molti medicamenti (Plinio ne descriveva 48); veniva inoltre usato per curare le ferite, per combattere le febbri, quale antidoto per alcuni veleni, per massaggiare il corpo onde rendere i muscoli più elastici. Viceversa, l'olio vecchio veniva utilizzato per scaldare il corpo e provocarne il sudore ed anche per dissipare la letargia e le convulsioni da tetano. Nelle abbazie il monacus infìrmorum, medico e speziale, preparava una mistura a base di olio, vino e bianco d'uovo, il cosiddetto balsamo del Samaritano, che ancora oggi costituisce un valido rimedio contro le scottature e i gonfiori. All'olio vengono riconosciute proprietà nella cura delle cardiopatie. E' ipotensivo, febbrifugo, antidiabetico, emolliente e diuretico.
Con l'olio si preparavano balsami e profumi. I Romani usavano l'olio anche per conservare i denti bianchi. Lucio Giunio Moderato Columella, scrittore latino del I sec. d. C., nel suo "De re rustica" ricorda che in Sicilia era d'uso preparare una pietanza a base di pasta d'olive, "la sampsa", in pratica un pesto di olive aromatizzato e salato. Il termine "sampsa", corrotto lungo i secoli, ha finito poi per indicare i residui solidi della spremitura dell'olio, cioè la sansa.
Scrisse Plinio che "due sono i liquidi più graditi al corpo umano: all'interno il vino, all'esterno l'olio". Anticamente l'olio veniva usato per l'illuminazione (si ricorda che anche il vangelo ne parla nella parabola delle vergini). Le prime lucerne (conformate in vario modo, in genere a coppa o a scodella, e costruite in terracotta, bronzo, rame, ferro e ottone) furono diffuse dai Fenici e dai Greci in tutto il bacino del Mediterraneo; successivamente vennero anche costruite in oro o argento e adoperate per adornare cattedrali e palazzi, ma sempre alimentate con olio. Ciò fino alla scoperta del petrolio che finì per soppiantarlo del tutto. Inutile sottolineare che per alimentare le lucerne veniva usato l'olio peggiore, quello lampante.
La conservazione delle olive era un rito tutto siciliano: le olive venivano schiacciate, deamarizzate in acqua, quindi condite con olio, aceto ed origano e consumate fresche oppure venivano trattate a secco con sale o in salamoia e conservate per lunghi periodi. Le varietà di olivo ancora oggi vengono chiamate con nomi femminili alquanto vezzosi quali: nuciddara, bianculidda, passilunara, calamignara, oglialora, ecc.
LE OLIVE
Gli oliveti tradizionali sono interessati da una pratica agricola limitata; la concimazione, normalmente viene effettuata in funzione della coltura consociata, erbai, cereali e mandorli.
L'irrigazione, tranne che nei nuovi impianti, si pratica solo come intervento di soccorso. La potatura si esegue dopo la raccolta, in genere ad anni alterni, accentuando così il fenomeno dell'alternanza di produzione. La lotta antiparassitaria è poco o per nulla praticata, poiché scarsa è l'incidenza delle emergenze fitosanitarie.
La raccolta, vene fatta prevalentemente a mano e precocemente, a partire dal mese di settembre fino a gennaio, differenziata in base all'altitudine. In alcune aziende si va diffondendo la raccolta agevolata con l'ausilio di scuotitori meccanici.
LA PIANTA
L'albero dell'ulivo è citato nei testi di Omero, rappresentato nei graffiti e affreschi delle tombe in Egitto, nominato nella Bibbia e nei testi arabi. La cristianità fin dalle sue origini è ricca di riferimenti all'olivo e all'olio.
Fu pianta sacra anche per i Sicelioti, i greci di Sicilia - a cui si deve la sua diffusione nell'isola - che punivano con l'esilio chi sraricava gli ulivi. La tradizione vuole che l'ateniese Aristeo, insegnò agli antichi siciliani come strarre l'olio, inventando "u trappitu" (tradizionale oleificio a pressione), e per questo fu onorato con un tempio in suo onore a Siracusa. Ma, fu con la dominazione araba che la coltivazione dell'ulivo si diffuse maggiormente in Sicilia.
Tutt'oggi vengono adoperati nel dialetto locale alcuni termini di derivazione araba: Giarra, tipico recipiente d'argilla specifico per tenervi l'olio; Burnia, vaso di argilla cotta per riporvi le olive; Coffa, corda intrecciata atta a contenere la pasta, da porre sotto il torchio; Tumminu, misura di capacità per le olive. In epoca successiva, i monaci Benedettini e Cistercensi divulgarono tecniche agronomiche e di coltivazione razionali e favorirono la diffusione dei frantoi.
OLIVICOLTURA
L'olio, nel territorio siciliano è una delle piante arboree più rappresentative, e il paesaggio agrario è caratterizzato da un'olivicoltura di tipo tradizionale e secolare, con piante che hanno più di 100 anni.
Olivi sparsi nei seminativi delle aree collinari, olivi insieme a mandorli e carrubi ed in alcune zone con la vite e gli ortaggi, mentre nelle aree agrumentate, sono posti ai margini degli agrumi. Gli oliveti specializzati ed irrigui sono di recente costituzione.
Questa singolare e tipica olivicoltura è una ricchezza per il territorio, per le molteplici funzioni cui adempie: caratterizza l'ambiente, esplica un'azione di protezione del paesaggio e soprattutto sostiene il reddito delle numerose e piccole aziende agricole.